La guerra non si combatte mai solo con le armi. Durante il conflitto in Vietnam, ad esempio, una strategia usata dagli americani è stata quella di volare sopra le impenetrabili foreste e i mangrovieti del Vietnam del Sud e cospargerli di un potente defoliante che le rendesse nude e improvvisamente vulnerabili. Attaccare, insomma, togliendo una possibile difesa ai Vietcong che, sotto alle foglie larghe degli alberi, potevano nascondersi facilmente. La sostanza spruzzata in lungo e in largo per la zona si chiamava Agente Orange, un erbicida utilizzato diffusamente in agricoltura fin dalla fine degli anni Quaranta per controllare meglio le piante a foglia larga, e prodotta da industrie chimiche molto famose negli Stati Uniti, come la Monsanto.
Peccato che uno dei sottoprodotti di questo pesticida sia la diossina, un componente chimico tossico per la salute umana, che permane nell’ambiente per almeno vent’anni e che gli effetti dell’Agente Orange, oltre a quelli più immediati di far avanzare gli americani in territorio nemico, siano stati devastanti sulla popolazione locale e sui soldati americani: è risultato infatti responsabile dell’insorgenza di neoplasie e di difetti di sviluppo nei feti.
L’uso dei pesticidi ci porta quindi a un quesito che possiamo definire trasversale, non solo biologico, ma etico, morale, universale: esiste davvero un’azione, anche singola, su uno qualsiasi degli anelli di un ecosistema che non abbia ripercussione sugli altri e, più generalmente, su tutto il pianeta Terra e i suoi abitanti? Domanda che può sembrare banale e alla quale può rispondere facilmente un qualsiasi ragazzino di prima media, che abbia già studiato il capitolo del libro di scienze che si intitola: “I viventi e l’ambiente”.
Noi grandi, invece, ne facciamo un’amara riscoperta solo ed esclusivamente quando gli abitanti presi in considerazione sono gli umani, secondo un punto di vista egocentrico e poco obiettivo.
Attenzione, però, perché il punto di vista EGOcentrico può prevedere soggetti sempre diversi, al posto del prefisso EGO. Oggi è il genere umano, domani un piccolo gruppo ristretto di esso, e così via. Visione molto soggettiva e incline a interpretazioni pericolose, come abbiamo già visto in passato.
Ecco che la musica cambia, però, se ci si sposta verso una visione ECOcentrica, una visione che comprenda le relazioni tra gli esseri viventi tutti, posti su uno stesso piano di importanza, e tra essi e l’ambiente in cui si trovano. Ecco che le problematiche assumono confini ben diversi, cambiano le risposte perché cambiano radicalmente le domande; al vertice della gerarchia non c’è più l’uomo e la sua necessità contingente (gli americani, nel caso di cui sopra, e la necessità di stanare i Vietcong), anzi, non esiste più una gerarchia vera e propria ma un delicato equilibrio da preservare e monitorare attentamente. Nel momento in cui si comprende che siamo legati da fili invisibili, i fili dell’ecologia, possiamo davvero intuire come la nostra permanenza su questo pianeta che ci ospita sia determinata anche dalle azioni che ci sembra possano avere momentanei esiti positivi sul genere umano o su una fetta di esso.
Con questo concetto, che è alla base del pensiero ambientalista, apriamo le porte alla nostra quarta “solita ignota”, la paladina di tale pensiero: Rachel Carson, nata nel 1907 in Pennsylvania e cresciuta in un’epoca in cui era permesso alle donne interessarsi alle scienze, sebbene non fosse auspicabile che potessero dare opinioni in merito, soprattutto se tali opinioni erano diverse da quelle della maggioranza o, ancora peggio, in contrasto con quelle dei poteri forti degli Stati Uniti: le multinazionali. Rachel non è rimasta ignota a lungo (anche se molti avrebbero preferito che fosse così) e questo non perché l’abbiano accolta con applausi e tappeti rossi, ma perché lei ha lottato per rivendicare che la sua voce giungesse alle persone.
Io, questa donna, l’ho adorata dal momento in cui l’ho conosciuta. Amante della natura fin da bambina, biologa, sebbene le sue condizioni economiche non le abbiano permesso di accedere a un dottorato per proseguire la sua carriera accademica, e scrittrice, tanto che i suoi articoli scientifici venivano definiti “troppo letterari”. Ma quello che più mi ha colpito è stata la mitezza dello sguardo che si intravede nelle sue fotografie e, in controtendenza con quanto suggerisca quel sorriso timido, la tenacia che ha dimostrato nel portare avanti le sue idee. E quando una persona esprime queste due caratteristiche contemporaneamente, c’è solo un motivo: ha ragione.
La prima lotta è per la sua posizione come scienziata e come donna. Insiste, infatti, per partecipare all’esame per il Servizio Civile Statunitense e diventerà la seconda donna che, in seguito all’esito positivo dell’esame, riuscirà ad essere assunta come biologa marina presso il Dipartimento Statunitense per la Pesca. Continuerà la strada, già intrapresa dopo gli studi, della divulgazione scientifica, ma il suo primo libro, legato alla biologia marina, non ha successo perché esce a ridosso dell’attacco a Pearl Harbour che decreterà l’entrata in guerra degli Stati Uniti. Si rifarà, poi, scrivendo altri due testi di biologia marina che avranno un ottimo successo e le permetteranno di ottenere ben due dottorati onorari. Nel frattempo, la sua vita privata è afflitta da innumerevoli lutti familiari, ma lei non volta le spalle a nessuno, si prende carico di ogni persona a lei vicina che abbia bisogno del suo aiuto, dalla madre anziana ai figli della sorella maggiore, che muore prematuramente, fino addirittura al figlio della nipote, che infine adotta. Decide, quindi, di acquistare una casa rurale nel Maryland e traferirsi lì con tutte le persone di cui si occupa.
Ed è in questa occasione che lo spirito di Rachel, già incline all’osservazione della natura, ne diventa talmente impregnato da accordarsi ad esso e aprirle gli occhi su quella che diventerà la “battaglia della sua vita”.
In seguito a un confronto con una sua amica proprietaria di un santuario degli uccelli, che ha visto una moria di esemplari successivamente allo spargimento in quelle zone di un insetticida all’epoca molto noto e diffuso anche in ambiente domestico, il DDT, nasce in Rachel il dubbio che i fitofarmaci e i pesticidi usati in modo incontrollato possano essere nocivi in modo più allargato di quanto si osi credere. Comincia a studiarli, allora, e ben presto giunge all’idea che queste sostanze, utilizzate per eliminare una particolare specie di organismi, possano in realtà circolare all’interno di una catena alimentare e provocare problemi anche ad altre.
Lei li chiamerà “biocidi”.
Decide, a questo punto, di divulgare le sue idee: sceglie volutamente di non dedicare a questo problema un articolo di stampo scientifico, che leggerebbero solo pochi addetti ai lavori, ma di usare quella “vena letteraria” tanto criticata in lei in passato, per rendere le informazioni che ha accumulato accessibili all’opinione pubblica e, quindi, sensibilizzarla. Lo fa con un libro, “Primavera silenziosa”, un inno ai delicati equilibri della natura, che si apre con uno scenario distopico, un’immagine bucolica di una campagna che si dona a una nuova primavera, ma senza cinguettii di uccelli ad accoglierla. Un monito, quindi, una suggestione che possa richiamare l’attenzione di chiunque.
Inoltre, decide con il suo libro di creare una rete di scienziati che condividano con lei questa esperienza e così convince molti colleghi e ricercatori ad aiutarla e a dare credito alle sue parole e, più in generale, a sollevare il problema di come l’umanità stia trattando l’ambiente.
Queste sue parole, però, si oppongono a poteri molto forti ed è qui che ritorna in auge il “modello strega“ che tanto piaceva nel Medioevo: se una donna dice una cosa scomoda, diamo la colpa al suo doppio cromosoma X, alla sua natura, insomma. Gli insulti si fanno variopinti: il più scontato è che lei sia una donna “isterica”, neppure sufficientemente titolata per dare certe opinioni. In fin dei conti, lei è solo una biologa marina, sostengono i suoi avversari, che vedono nelle loro file colossi dell’industria chimica e multinazionali come la Monsanto (sì, la stessa dell’Agente Orange per il Vietnam), ma appoggiati anche dal Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti. Lei, continuano, è una bird-watcher, una zittella con tanto tempo libero da occupare in qualche modo e, sostanzialmente, una radicale che vorrebbe il mondo governato da insetti e parassiti. Vengono mistificate le sue parole, in quanto lei richiede un uso più consapevole dei pesticidi, non un veto assoluto, ma alla fine la tacciono addirittura di comunismo. Insomma, ce la mettono tutta per minare la sua posizione.
Rachel non demorde. Sebbene già malata di cancro, si difende, compare, fin quando la salute glielo permette, ai dibattiti ai quali viene invitata, sostiene le sue tesi, supportata da colleghi scienziati ma, soprattutto, dall’opinione pubblica, solleticata dall’uscita di “Primavera silenziosa”, che diventa un best-seller in tutto il mondo e ancora oggi è considerato un testo fondamentale dell’ambientalismo.
Il pensiero comune, quindi, cambia: comincia a dirigersi verso le sponde dei ragionamenti di Rachel, la sua vena letteraria e le sue inattaccabili tesi scientifiche hanno la meglio persino sui giganteschi colossi dell’industria chimica e sugli interessi economici che ci girano intorno.
Dopo il successo di Primavera Silenziosa, Rachel ottiene molti riconoscimenti e oggi viene celebrata battezzando con il suo nome scuole, ponti, dipartimenti di protezione dell’ambiente e questo perché le azioni e la tenacia di Rachel hanno puntato un faro contro un problema che nessuno voleva considerare o, forse, che molti preferivano ignorare. Dopo la sua morte, avvenuta pochissimo tempo dopo la pubblicazione del suo best-seller, la politica ha mosso i primi passi verso la protezione dell’ambiente con leggi contro l’inquinamento, come la messa al bando del DDT per il quale Rachel era stata zittita di incompetenza e oscurantismo. Ma non solo: sulle sue orme sono nate associazioni come il WWF e Greenpeace. Insomma, ha dato il via al movimento ambientalista per riassestare l’equilibrio verso la visione ECOcentrica che è necessaria per permettere al genere umano di abitare ancora su questo pianeta.
La sua è una voce tuttora forte e moderna perché il problema della salute della Terra è un problema urgente, serio, attuale, un problema che deve interrogare tutti, che chiede a chiunque di assumere una posizione e, di conseguenza, una responsabilità riguardo alle proprie azioni.
Una scelta radicale, un’inversione di rotta che non può più attendere.
Perché nessuno di noi vorrebbe svegliarsi, domani, e ritrovarsi in una primavera silenziosa.
(Articolo scritto per la collaborazione con il blog “The Meltinpop”)