Le solite ignote
Storie di donne che hanno fatto la storia delle scienze, senza essere mai apparse su un libro di scienze (o quasi)
in collaborazione con Themeltinpop.com
Dimenticatevi, in questa rubrica, di sfogliare le pagine dei vostri libri di scienze delle superiori. Dimenticate i volti occhialuti di signorotti con panciotto e cravattino, dimenticate le società esclusive, i circoli culturali, le disquisizioni portate avanti da vocioni tonanti e i salotti annebbiati dai fumi dei sigari. Lasciatevi condurre, invece, attraverso altre nebbie, nebbie che nascondono, mistificano la realtà, la confondono. Lasciate che emergano, da queste nebbie, volti quasi del tutto sconosciuti, occhi che si abbassano, quello non è il loro posto, la scienza non è materia per i loro cervelli, e anche occhi che si fanno più tenaci e taglienti e acuti nel ricercare la verità.
Costantinopoli. Inizi del XVIII secolo.
I vapori degli hammam turchi lasciano solo intravedere sinuose figure di donne che per qualche ora della propria giornata dimenticano i doveri della vita quotidiana e, protette dall’intimità di quelle nebbie, possono rilassarsi, chiacchierare, scambiarsi segreti di bellezza. Tra loro, si può scorgere anche una giovane donna inglese, un’aristocratica, Lady Mary Wortley Montagu, che si trova a Costantinopoli come accompagnatrice del proprio marito, ambasciatore presso la corte di Turchia per assicurare la mediazione inglese tra l’Austria e l’Impero Ottomano. Come molte donne della sua epoca, le occupazioni di Lady Montagu sono strettamente vincolate a quelle dell’uomo che sposato. Dalla sua parte, però, c’è uno spirito intelligente, intraprendente e libero, che sa cogliere l’occasione del viaggio in Turchia per conoscere meglio la cultura orientale, scoprendola attraverso il mondo femminile, l’unico al quale può avere accesso e, poiché scrittrice, per raccontare agli europei una realtà che comincia ad attrarla sempre di più e alla quale si avvicina non con la sfrontatezza di chi si sente superiore e debba giudicare una cultura totalmente differente dalla propria, ma con la mentalità aperta delle viaggiatrici, ed è proprio questo che farà la differenza, nella nostra storia.
Mentre visita gli zenana, stanze delle corti turche adibite esclusivamente alle donne, e nelle quali spesso erano praticamente segregate, Lady Montagu è testimone di una pratica che le donne attuano per non ammalarsi di una malattia terribile, una malattia che potrebbe uccidere o, nel migliore dei casi, deturparle per sempre: il vaiolo. Lady Montagu avverte un colpo al cuore: quella parola, vaiolo, ha già toccato diverse volte la sua vita, le ha portato via un fratello e le ha sfigurato il volto, avendo contratto lei stessa la malattia, e un pensiero che la tormenta da molto è come proteggere ciò che le più caro, i suoi figli, da quel morbo che dilaga in tutto il mondo. Ecco che, davanti ai suoi occhi, compare una soluzione: “Una vecchia operatrice viene con un guscio di noce pieno di materia vaiolosa ed apre la vena che le viene sottoposta con un grosso ago mettendo nella ferita tanta materia quanta ne può stare sulla punta dell’ago…”. Innesto, lo chiamerà nelle sue lettere. Non è una tecnica sconosciuta, a dire il vero. Fin dai tempi dell’antica Cina si usava inalare la polvere delle croste essiccate del vaiolo per proteggersi dalla malattia e anche in Europa si è a conoscenza di questa proprietà delle malattie di proteggere dalle malattie stesse. Ma come e perché è qualcosa di totalmente sconosciuto. Sono ancora lontani i tempi di Pasteur e Koch, il mondo del microscopico è ancora sulle soglie dell’ignoto ed è per questo che nella medicina occidentale, che attecchisce solo su valide e comprovate teorie che tutto spiegano, non fa presa la tecnica della variolizzazione. O almeno non la fa fino a quando Lady Montagu non decide di portarla in Inghilterra.
Perché lei non ha bisogno di teorie, le basta l’esperienza, e non si fa di certo intimorire dai pregiudizi sulla medicina orientale. Pensate che una donna, a quei tempi, si spaventi dei pregiudizi? Sono il suo pane quotidiano, lei li spazza via in un secondo.
Si fa inoculare lei stessa e in seguito pratica l’innesto anche ai figli, supportata da un medico dell’ambasciata. Cerca di convincere chiunque della validità del metodo: amici, medici, autorità inglesi e, ben presto, la sua determinazione porta la variolizzazione in Europa e anche altrove, in America.
Non è una vera vaccinazione, ma salva molte persone da una malattia che può uccidere o invalidare, e si rende evento precursore dello studio scientifico e rigoroso ai quali si dedicarono, anni dopo, scienziati come Jenner, l’uomo che metterà a punto il primo vero vaccino della storia e che, quando Lady Montagu muore, nel 1762, ha appena tredici anni.
Mi sembrava doveroso iniziare questa rubrica con un argomento che ci tocca così da vicino, oggi.
Senza le ferite nel cuore e sul volto di Lady Montagu, senza la sua tenacia che ha dissipato la cortina di preconcetti che accompagnavano nella scettica Europa una pratica orientale come la variolizzazione, senza la sua mentalità aperta, senza il coraggio di una donna che si è cimentata in un campo che si diceva non fosse di sua competenza e senza la rigorosità scientifica di chi è venuto dopo di lei, Jenner in primis, saremo ancora a combattere contro il vaiolo.
O forse: saremo ancora qui a combattere contro il vaiolo?
La citazione proviene da una lettera di Lady Montagu, datata 17 aprile 1717