Che Mary Anning sarebbe stata una ragazzina speciale si poteva capire fin dalla sua nascita. A soli quindici mesi, infatti, sopravvisse a un incidente che avrebbe potuto ucciderla: un fulmine la attraversò da testa a piedi, mentre era in braccio a una conoscente della famiglia che si era riparata sotto a un albero, in attesa che finisse un temporale. Da allora, si dice, la bimba crebbe sana e robusta, come irrorata da una nuova energia, nel paesino che l’aveva vista nascere il 21 Maggio 1799: Lyme Regis, lungo la costa del Dorset, dove Mary amava trascorrere il suo tempo per scoprire quali tesori la scogliera e le mareggiate volessero regalarle.
No, no, non parlo di oro zecchino o vecchi bauli di pirati ma qualcosa di molto più affascinante: macchine del tempo mimetizzate in pietre, una sorta di lampade di Aladino che, se sfregate nel modo giusto, avevano il potere di svelare la verità sulla storia della terra e dei suoi abitanti.
Fossili.
Neanche da dire che fossero tesori rari perché la costa, in realtà, ne era piena, tanto è vero che oggi è conosciuta come “Jurassic Coast”, ma non tutti erano in grado di guardare con gli occhi giusti, mentre Mary… Mary sì.
Io la ricordo, Mary, la prima volta che l’ho vista. La ricordo perché nei libri di scienze le immagini dei grandi studiosi che hanno fatto la storia della biologia, della geologia, della chimica ritraggono signori in posa con dei baffi importanti, occhiali, uno sguardo serio e scrupoloso. Di Mary, invece, ho visto una specie di schizzo, un disegno che ritraeva una ragazza con lo sguardo e gli occhi segnati dalla fatica, strati di vestiti addosso per coprirsi dal freddo e dal vento e un bastone con cui camminare su e giù per la spiaggia, alla ricerca dei suoi “ninnoli”.
Mary Anning non era una studiosa, né tanto meno una scienziata o figlia di accademici.
Eppure, a soli undici anni, aveva già imparato moltissime cose: aveva imparato quanto fosse difficile sbarcare il lunario, che i soldi non bastavano mai e che il padre, un ebanista, era la loro unica fonte di reddito. Le fu subito chiaro, quindi, cosa dovesse fare quando il padre morì: Mary si rimboccò le maniche e decise che avrebbe trovato tutti gli stratagemmi possibili per permettere a sé stessa e alla sua famiglia di sopravvivere. Uno di questi stratagemmi glielo aveva insegnato proprio il suo papà: i turisti andavano matti per i “ninnoli”, fossili di ammoniti e belemniti, che si trovavano abbastanza facilmente nelle spiagge di Lyme Regis, scavando bene e pulendoli con il martellino.
E Mary ci passava ore a scovarli, con il suo fedele cagnolino Tray a farle compagnia, per poi rivenderli con quei nomignoli folcloristici – “testa di serpente”, “artiglio del diavolo” – che tanto piacevano ai suoi avventori, i quali confidavano anche in sedicenti proprietà miracolose delle pietre. Cosa fossero realmente, quei sassi strambi, e cosa significassero non se lo chiedevano di certo i turisti, come non se lo chiedevano molti altri “cacciatori di fossili” che battevano le coste per guadagnare qualche soldo in più.
Ma Mary non era solo una cacciatrice di fossili.
Non si limitava a raccoglierli e pulirli. Mary Anning li catalogava, li studiava, cercava di cogliere differenze e analogie e, soprattutto, si faceva un sacco di domande, a cui cercava di rispondere anche grazie all’aiuto e alla lungimiranza di una cara amica, Elizabeth Philipot, signorina istruita e di buona famiglia che aveva visto qualcosa di speciale in quella ragazzina selvaggia.
Mary studiò, da autodidatta, geologia e anatomia comparata e ben presto cominciò a intrattenere una fitta corrispondenza con uomini di scienza, leggendo i loro articoli e criticandoli, anche.
Non erano anni facili, quelli, per la scienza. Tutto ciò che era sempre stato inossidabile perché scritto nella Bibbia, d’improvviso entrava in contraddizione con la realtà dei fatti, con le evidenze che il mondo aveva cominciato a rigurgitare in modo irrefrenabile. Da più parti del mondo, in più discipline scientifiche, sembrava di assistere a una sorta di congiura mondiale in cui, all’improvviso, la verità si svelava agli occhi di chi sapeva osservare, come fece Darwin qualche anno più tardi e come fece anche Mary quando la scogliera le regalò il fossile di un animale che tutti inizialmente decretarono essere un “coccodrillo”.
Mary ci mise quasi un anno a tirare fuori quel bestione dalle rocce, un animale lungo diversi metri, incastonato negli strati che si erano depositati intorno a lui, un animale con occhi troppo grandi per essere semplicemente un coccodrillo. Un lavoro minuzioso e una ricostruzione altrettanto attenta le permisero di riordinare le ossa in modo preciso per restituire l’immagine di un esemplare che aveva qualcosa di strano, inafferrabile.
Poco importava, comunque: venderlo le portò un gruzzoletto niente male.
Improvvisamente, il mondo scientifico si accorse di Mary e di Lyme Regis: le spiagge che lei amava scandagliare in silenzio e in solitudine cominciarono a riempirsi di cacciatori, sebbene nessuno avesse lo sguardo che aveva lei, che riusciva a scovare una “vertebrella” in mezzo alle rocce come se fosse un gioco.
Dopo il suo primo ritrovamento importante, che poi si scoprì essere un Ittiosauro e non un coccodrillo, Mary rinvenne uno splendido esemplare di Plesiosauro.
Nessuno volle credere a quella ricostruzione, che gli studiosi decretarono essere falsa.
Ci furono dibattiti, ai quali, ovviamente, Mary non partecipò, perché non invitata. Fu Cuvier, uno dei grandi naturalisti dell’epoca, anche lui inizialmente dubbioso sulla creatura di Mary, il primo a fare retromarcia sulle sue posizioni per dare ragione alla giovane “fossils hunter” del Dorset. Come ho già detto, erano anni di fermento, quelli in cui Cuvier venne conoscenza delle scoperte di Mary, anni in cui ci si trovava davanti a grandi dilemmi scientifici e religiosi. Ad esempio, Cuvier fu il promotore dell’idea che la Terra fosse stata abitata da specie animali ormai estinte, idea che oggi a noi sembra banale ma che all’epoca era scandalosa in quanto contrastava con l’idea che la Terra e i suoi abitanti fossero stati conservati esattamente come Dio li aveva creati. Cuvier non si distaccò dalle teorie creazioniste e fissiste, ma propose un’altra strada, quella del catastrofismo, ossia l’estinzione di specie viventi “in eccesso” a causa di eventi naturali catastrofici, come il diluvio universale.
Ma torniamo a Mary: pochi anni dopo il Plesiosauro, la nostra cacciatrice ritrovò anche uno Pterodattilo, il primo rettile volante scoperto al di fuori della Germania.
La bravura di Mary non era solo quella di vedere aldilà del mondo che aveva intorno, scavando con gli occhi prima che con il martello, ma di avere la grande capacità di ricostruire questi esemplari ormai estinti con precisione e di accompagnare le sue ricostruzioni con intuizioni geniali. Fu sua, ad esempio, l’idea che alcuni sassi friabili fossero, in realtà, feci fossilizzate, oggi conosciute come coproliti.
E’ grazie all’attività di Mary e ai suoi esemplari che si deve un avanzamento importante nella paleontologia, scienza che ha dato luce a una nuova era: l’era delle specie estinte che fece poi da apripista ad altre teorie fondamentali come la teoria dell’evoluzione di Darwin.
La bravura e la precisione scientifica di Mary nel classificare e osservare i suoi “draghi” hanno aperto strade che, purtroppo, non hanno portato il suo nome per molto tempo. Mary, infatti, non fu mai ammessa alla Geological Society e solo qualche amico le dedicò lo spazio che meritava, citandola nei suoi lavori. Nonostante questo, Mary continuò nelle sue ricerche, contribuendo non poco allo studio dei fossili, sebbene questo non abbia contribuito di molto alle sue economie. Il mondo scientifico non dimenticò del tutto la cacciatrice del Dorset e la sua importanza scientifica; difatti, fu la prima donna a cui venne dedicato un elogio funebre da parte del presidente della Geological Society, incluso anche nella loro pubblicazione periodica, quando Mary morì di cancro al seno a soli quarantasette anni.
Fu Charles Dickens, quasi una ventina d’anni dopo, a recuperare la memoria di Mary Anning, raccontando la sua storia con un articolo sul “All the year round” e oggi, al National History Museum di Londra, c’è un’intera sala dedicata a lei e alle sue scoperte. Solo pochi anni fa, nel 2010, la Royal Society l’ha inclusa nelle dieci donne che più hanno contribuito al progredire della scienza.
«Era ora!» verrebbe da dire, citando Hedy Lamarr, una delle solite ignote che incontreremo nei prossimi post.
Ma in fin dei conti, non è proprio questo che ci ha insegnato, la storia di Mary Anning?
Anche se una pioggia di polvere si deposita sopra alla storia, si cementifica e la imprigiona, prima o poi arriva qualcuno di abile e intelligente pronto a tirare fuori la verità.
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Per chi fosse interessato, la storia di Mary Anning si trova tra le pagine di due bravissimi autori: Bill Bryson con “Breve storia di (quasi) tutto” e Tracy Chevalier con “Strane creature”, in attesa di vederla rivivere sul grande schermo nel film “Ammonite” con Kate Winslet.
Post scritto in collaborazione con il blog “Themeltinpop”