Ho pensato a cosa scrivere di Darwin, in questo giorno a lui dedicato, e devo dire che le strade da prendere sono molte. In “Questa creatura delle tenebre”, ho letto dell’avventura sul Beagle vista dagli occhi del comandante del brigantino, Fitzroy: un racconto sicuramente avventuroso, scientifico, ma anche umano, con tutte le perplessità e i dubbi dell’epoca sul creazionismo che saltavano fuori ad ogni osservazione, un racconto sulla diversità, sia quella visibile, di colore, di appartenenza, di continente, sia quella mentale, di vedute, di ideologie, concettuale.
Penso al Darwin scolastico, quello che cerco di raccontare ai miei studenti di biologia, per far comprendere il meccanismo della vita, il motore dell’evoluzione che in maniera silenziosa e imprevedibile muove il mondo, lo fa cambiare con movimenti impercettibili.
E poi mi torna alla mente un articolo di Oliver Sacks, grande uomo di scienza e scrittore che ci ha lasciato pochi anni fa, in cui scrisse cosa capitò a Darwin dopo aver pubblicato “L’origine della specie”. Sì, perché quello che viene considerato il culmine della sua carriera, è stato solo l’inizio di uno studio molto più approfondito e rigoroso. “L’origine della specie” è nato in seguito al viaggio in Sud America, e lì troviamo tutte le geniali intuizioni di Darwin, nate dall’osservazione dei paesaggi, di animali mai visti prima, scheletri, fossili, fringuelli e iguane. Non è stato, come spesso si pensa, un lampo di genio improvviso, ma uno studio serio su quanto osservato e riportato minuziosamente sui suoi quaderni e una rielaborazione dettagliata degli appunti. Ma, in seguito, Darwin si trova a porsi ulteriori domande sulle sue teorie, e questo lo rende scienziato per eccellenza. Ed è qui che inizia un’altra parte della sua vita forse meno avventurosa del viaggio alle Galapagos, ma sicuramente ricca di scoperte sensazionali: il suo incontro con il mondo delle piante. Il vegetale, visto allora (e non solo) come qualcosa di immobile, primitivo, poco reattivo, si apre agli sguardi di un Darwin provato dal viaggio sul Beagle e desideroso di comprendere meglio quei meccanismi intuiti con i fringuelli.
Lui, a quel punto, sa mettersi in ascolto: osserva, studia, fa esperimenti, se ne sta pancia sotto sdraiato sul prato, si meraviglia dei colori, dei profumi, dell’immensa varietà di questo mondo che sembra un pianeta minore solo perché non è sfacciato come quello animale. E si chiede: perché? Perché quei colori, quegli odori, quei pistilli, perché quei viticci, perché gli insetti? La botanica non può essere solo classificare le piante e godere di un viola o di un rosso acceso. No, Darwin non si arrende all’idea che non ci sia un motivo oltre alla semplice bellezza. A partire dallo studio delle piante del suo giardino, passando per le bellissime e maestose orchidee, fino ad approdare alle piante insettivore, Darwin scopre che questa dimensione così schiva, in realtà, è governata da meccanismi complessi, ingegnosi e, soprattutto, che non fanno che confermare e perfezionare le sue teorie sull’evoluzione delle specie. Scopre, così, la collaborazione tra fiori e insetti per l’impollinazione, di cui poco o nulla si sapeva, credendo, come aveva suggerito Linneo nel Settecento, che i fiori si riproducessero solo per autoimpollinazione. Scopre che le piante si muovono, e non casualmente, ma guidate da stimoli come la luce, la fonte di nutrimento, la gravità. Scopre che le piante sanno comportarsi al pari degli animali, ma con meccanismi semplicemente diversi. Ed ecco che le piante rivelano a Darwin il loro grande segreto: siamo tutti parte di un’unica grande realtà, loro lo sanno da sempre, siamo collegati da una rete primordiale che è stata tessuta fin dalla prima cellula comparsa sulla Terra. I libri che Darwin pubblica negli anni a venire (“I diversi apparecchi col mezzo dei quali le orchidee vengono fecondate dagli insetti”, “Gli effetti della fecondazione incrociata e propria nel regno vegetale”, “Le piante insettivore”, “I movimenti e le abitudini delle piante rampicanti”, “La formazione della terra vegetale per l’azione dei lombrichi con osservazioni intorno ai loro costumi”) sono trattati sulle piante, sugli insetti, sui lombrichi, insomma, sugli ultimi, i semplici, che rivelano la verità semplice e ultima, che riporto con le parole di Oliver Sacks : “Darwin ha sempre posto in risalto la continuità della vita, per cui tutti gli esseri viventi discendono da un comune antenato – o ceppo – e quindi siamo tutti, in certo qual modo, imparentati gli uni agli altri. Dunque gli umani non sono parenti soltanto delle scimmie e degli altri animali ma anche delle piante. (Le piante e gli animali a noi oggi noti condividono il 70 per cento del loro DNA.) Eppure, a causa dell’immane motore della selezione naturale, le varianti sono tali e tante che ogni specie è più unica che rara, e anche ciascun individuo è unico.”
Ciascun individuo è unico. Se solo ci sintonizzassimo davvero con questa frase, capiremmo non solo le scienze, la biologia e quant’altro ma, forse, daremmo un vero valore alla nostra presenza sulla Terra.
Vorrei davvero che, come Darwin nella sua vecchiaia, ci mettessimo a osservare le orchidee, le ascoltassimo. Vorrei che ci sedessimo davanti all’essere più diverso da noi in assoluto, lo guardassimo e invece di pensare “non ti capisco”, pensassimo “ti ascolto: provo a capirti”.
E chissà, forse impareremmo qualcosa anche noi.
L’articolo di Oliver Sacks su Darwin si intitola “I fiori di Darwin”